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(LA RESPONSABILITÀ DELLA VERSIONE ITALIANA DEGLI ARTICOLI PUBBLICATI NEL BLOG DEL PROFESSOR NAVARRO È DEL TRADUTTORE, MICHELE ORINI)

Articolo pubblicato da Vicenç Navarro sulla rivista on-line SISTEMA, il 24/01/2014, e sulla rubrica “Pensiero Critico” del quotidiano PUBLICO, il 28/01/2014

Questo articolo mostra che l’enorme concentrazione della ricchezza in mano di pochi è la causa principale della Grande Recessione. Ciò si deve all’applicazione di politiche neo-liberiste a partire dagli anni ´80. Nonostante la massiccia mole di evidenze scientifiche che confermano questo dato, i maggiori mezzi d’informazione l’hanno ignorato o occultato.

Il titolo di quest’articolo potrebbe sorprendere il lettore, visto che si è scritto molto sulle cause della crisi, potrebbe sembrare che sia già stato detto tutto. Ed invece no, non tutto è stato detto e pubblicato. In realtà, molto poco è stato detto o pubblicato nei maggiori forum di informazione e persuasione circa le cause reali di quella che viene chiamata la Grande Recessione. Spero che alla fine di questo articolo Lei capisca perché in realtà se n’è parlato molto poco.

Le principali cause della Grande Recessione sono tre. Una, a proposito della quale si è scritto abbastanza, è la crescita del capitale finanziario, ovvero di istituzioni quali le banche, le compagnie assicurative ed altre istituzioni che si occupano della gestione dei soldi. L’altra causa, relazionata con la precedente, è la deregolamentazione del capitale finanziario, ed in particolare del settore bancario, che ha creato quello che è stato correttamente denominato “Capitalismo da Casinò” (ovvero basato sulla speculazione). Questa deregolamentazione è stata portata a termine come parte di una cultura anti-regolamentazione che ha colpito anche altre attività economiche, come per esempio il commercio. Ed anche di questo se n’è abbondantemente parlato.

Di ciò che però non si è parlato è precisamente di quello che c’è dietro l’aumento della crescita del capitale finanziario (ovvero della finanziarizzazione dell’economia) e della sua deriva speculativa. La causa di tutto ciò, ignorata, sconosciuta (o forse occultata), non è nient’altro che l’enorme aumento delle disuguaglianze dei redditi nella maggior parte dei paesi considerati economicamente avanzati (praticamente quelli che fanno parte della OCSE, il club dei paesi più ricchi del mondo).

Mi permetta ora di spiegare cosa “l’aumento delle disuguaglianze nella distribuzione dei redditi di un paese” voglia dire. Cominciamo come prima cosa con il concetto di “distribuzione dei redditi”. I redditi (i soldi che la gente guadagna) possono provenire dal lavoro (prevalentemente attraverso i salari) o dalla proprietà del capitale (ovvero dalla proprietà, come per esempio nel caso di azioni, che generano una rendita). La distribuzione dei redditi è il fattore determinante per capire l’evoluzione economica (e politica) di un paese.

La maggior parte della popolazione riceve il proprio reddito dal lavoro. Da ciò ne consegue che quando i redditi diminuiscono (e possono diminuire in conseguenza di varie circostanze, come la diminuzione dei salari e/o la diminuzione del numero di gente che lavora, e/o a causa dell’aumento della disoccupazione), anche la domanda di prodotti e servizi, e conseguentemente la produzione di prodotti e servizi, diminuisce, e quindi l’economia soffre. Questo fenomeno viene chiamato recessione.

La “scoperta” della relazione tra diminuzione della domanda e le crisi economiche viene generalmente attribuita al famoso economista Keynes, anche se ciò non è del tutto esatto. In realtà, per quanto possa sorprendere il lettore, ben prima di Keynes fu Karl Marx, bistrattato dalla stampa del nostro paese (l’autore si riferisce alla Spagna, ndt), ad indicare nel suo libro più famoso, Il Capitale, che l’accumulazione del capitale a spese del lavoro avrebbe portato alla crisi del capitalismo. Ma più che Karl Marx, colui il quale ha elaborato più a fondo questa teoria è stato uno dei suoi seguaci, M. Kalecki, il quale a sua volta influenzò due dei migliori economisti del nostro tempo, Joan Robinson ed il mio amico Paul Sweezy, nessuno dei quali, tra parentesi, ha mai ricevuto un premio Nobel in Economia. Al loro posto, premi Nobel in Economia (finanziati dalla banca scandinava) furono assegnati a ultraliberisti come Robert Lucas, il quale scrisse che occuparsi dell’analisi della distribuzione dei redditi è dannoso e pericoloso (“una delle tendenze perniciose e dannose del sapere economico …, invero velenosa per tale scienza, è lo studio dei temi di distribuzione”. The industrial Revoution: Past and Future). Ovviamente Lucas era un economista vicinissimo al capitale, che di distribuzione dei redditi non vuol neppur sentir parlare. Autori ultraliberisti come Lucas continuano a godere di un’ottima fama non solo tra i circoli accademici spagnoli, ma anche nella stampa generale.

A cosa si deve la finanziarizzazione dell’economia?

Quando le persone non hanno soldi, li chiedono in prestito. Questa è la chiave per capire l’enorme crescita del sistema bancario.  Il tremendo livello d’indebitamento delle famiglie spagnole, così come delle piccole e medie imprese (che sono quelle che creano più lavoro in Spagna), si deve precisamente alla diminuzione dei redditi derivanti dal lavoro. A partire dagli anni Ottanta si registra una relazione inversamente proporzionale tra la diminuzione dei redditi da lavoro in un dato paese e la crescita del settore bancario. Quanto più diminuiscono i redditi da lavoro tanto più cresce la banca (ovviamente altri fattori influiscono, come per esempio la disponibilità del credito. Ma quest’ultimo non può da solo spiegare l’aumento dell’indebitamento).

Ed i dati sono chiarissimi. I redditi da lavoro espressi come percentuale del PIL sono scesi in Spagna dal 68% degli anni Ottanta al 62% del primo decennio del XXI secolo. Negli USA, nello stesso periodo scesero dal 68% al 65%. Situazioni analoghe si sono registrate nella maggior parte dei partiti dell’OCSE, nonostante il grado di diminuzione, sia in termini assoluti che percentuali, vari in maniera considerabile da un paese all’altro. Comunque, persino nei paesi nordici, come per esempio la Svezia, si registra una diminuzione, seppur più debole (dal 71% al 69%). La Spagna, insieme alla Grecia (dal 67% al 60%), l’Italia (dal 68% al 65%) e l’Irlanda (dal 70% al 55%), è stato uno dei paesi dove la percentuale dei redditi da lavoro in rapporto al PIL, già di per sé bassa, è diminuito di più (Eckhard Hein, “Finance-dominated Capitalism and Income Distribution. Implications for an ‘Agenda of Shared Prosperity”). In tutti questi paesi i redditi da lavoro sono diminuiti rapidamente a vantaggio dall’aumento dei redditi da capitale. Questa è la realtà, ignorata, sconosciuta o occultata. E non è certamente un caso se Grecia, Irlanda, Italia e Spagna sono i paesi dove la Grande Recessione ha colpito in maniera molto accentuata (vedasi il mio articolo “Capitale-lavoro: l’origine della crisi attuale”, Le Monde Diplomatique, Luglio 2013). È proprio in questi paesi dove il problema della domanda è maggiore e, di conseguenza, di maggiore portata è anche la crisi.

Perché è aumentata la speculazione finanziaria?

Questa diminuzione dei redditi da lavoro potrebbe non tradursi in una diminuzione della domanda, purché il potere d’acquisto della popolazione non scenda, per esempio in seguito al conseguimento di liquidità per poter continuare a comprare i prodotti ed i servizi di cui si ha bisogno. Ovvero, il credito (sostenuto dalle banche) può mantenere la domanda. Ma solo fino ad un certo punto. E qui sta la radice del problema. La domanda per un certo periodo si mantiene, ma progressivamente diminuisce, e con essa diminuisce l’attività economica. E ciò può rappresentare un problema persino per il mondo del capitale, poiché se non c’è una domanda sufficiente, le fabbriche producono meno ed i proprietari si spartiscono guadagni minori. Quando la domanda scende quella che viene chiamata la “redditività del capitale” viene influenzata negativamente. Perciò la gente che ha molti soldi non investe nella cosiddetta economia produttiva (ovvero in prodotti e servizi), ma in aree dove la redditività è maggiore, tali quali le attività speculative, per esempio nel settore immobiliare. Ed è così che si verificano esplosioni di bolle speculative, facilitate dalla deregolamentazione del sistema bancario. Ogni bolla, per definizione, è destinata ad esplodere. E quando esplode, il sistema bancario collassa o si paralizza, il credito sparisce, l’economia collassa poiché senza credito la domanda crolla, visto che salari sempre più bassi, in mancanza di credito, non possono mantenerla. Da qui nasce la Grande Recessione. Ed è l’enorme concentrazione della ricchezza che l’ha creata, allo stesso modo in cui in passato, agli inizi del XX secolo, generò la Grande Depressione.

E perché la ricchezza è andata concentrandosi in questo modo?

Una volta che si siano capite le cause della crisi, le soluzioni appaiono piuttosto facili. A rischio di peccare di immodestia, vi assicuro che la maggior parte dei miei studenti del Master di Politiche Pubbliche e Sociali della Universidad Pompeu Fabra (Spagna)- J. Hopkins (USA), una volta finiti gli studi saprebbero come risolvere la crisi. Le soluzioni, dal punto di vista scientifico, non sono difficili da trovare: invertire le politiche pubbliche che sono state imposte in gran parte tra il 1980 ad oggi, cambiandone il segno, ovvero favorendo i redditi da lavoro invece che le rendite da capitale. Ciò implica una redistribuzione molto consistente dei redditi di un paese, diminuendo le rendite da capitale, incluso con la sostituzione del capitale con altre forme di proprietà in molte aree dell’economia, ed aumentando le rendite da lavoro. La soluzione per uscire dalla crisi consiste in un aumento molto marcato delle rendite da lavoro (aumentando i salari e l’occupazione) ed una diminuzione di quelle da capitale. E, come ho appena detto, con una marcata riduzione non solo del peso del capitale finanziario, ma anche della sua proprietà e comportamento, eliminando per esempio il carattere speculativo del capitale privato, sostituendolo, nel caso delle banche, con capitale pubblico. Per esempio, non ha nessun senso che le banche private ricevano prestiti vantaggiosissimi dalla Banca Centrale Europea (BCE), che è un’entità pubblica, e che poi le stesse banche private prestino questi soldi ad un interesse altissimo alle autorità pubbliche (come gli Stati) o alle imprese. Sarebbe molto più efficiente e giusto eliminare l’intermediario, le banche private, e fare in modo che la BCE presti direttamente agli Stati, e che questi prestino a loro volta direttamente alla popolazione o alle imprese (si veda il mio articolo “Una de las mil razones para estar indignados”, El Plural, 13.01.14). Ed all’interno della stessa logica, diminuire l’eccessiva dispersione salariale (che è aumentata tra i lavoratori), impedendo che gli stipendi più alti siano, come succede ora, oscenamente alti, senza mantenere nessuna relazione con la produttività. E, punto di grande importanza, finirla con la “beneficenza” verso le banche, che sono quelle che hanno beneficiato maggiormente della generosità statale.

Intendiamoci, che ciò succeda o meno, dipende dalla politica. Per fare in modo che succeda, bisogna che cambino profondamente le relazioni di potere, incluso le relazioni di potere tra le classi, nelle quali una minoranza controlla la maggioranza delle istituzioni mediatiche e politiche dei paesi della OCSE, imponendo politiche ultraliberiste che stanno danneggiando enormemente la popolazione.

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