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(LA RESPONSABILITÀ DELLA VERSIONE ITALIANA DEGLI ARTICOLI PUBBLICATI NEL BLOG DEL PROFESSOR NAVARRO È DEL TRADUTTORE, MICHELE ORINI)

Articolo pubblicato da Vicenç Navarro sul giornale El Plural, il 6/05/2013

In questo articolo si criticano le argomentazioni che sostengono le politiche dominanti oggi nell’Unione Europea e le conseguenze della loro applicazione, le quali palesano un fallimento completo.

A partire dagli anni ottanta, il dogma neoliberale ha dominato la cultura politica, economica e mediatica dei paesi nord-atlantici.

Secondo tele dogma la crisi attuale è dovuta ad una eccessiva spesa pubblica che avrebbe soffocato col suo peso l’economia, privando il settore privato di fondi e risorse, rendendolo incapace di attuare come motore dell’economia.

Come disse il presiedente Regan, guru del pensiero neoliberale, nel discorso d’inaugurazione della sua presidenza nel gennaio del 1981, il governo (ma in realtà si riferiva al settore pubblico) “non è la soluzione ma il problema”.

Questa spiegazione dell’origine della crisi, ha portato a politiche di tagli ed austerità, che puntano a ridurre il deficit ed il debito pubblico degli Stati.

I tagli si sono concentrati soprattutto sulla riduzione della spesa pubblica sociale, poiché si assume che una (presunta) eccessiva previdenza pubblica rilassi le classi lavoratrici (ridefinite come classe media), facendole perdere così di competitività.

Si considera inoltre che i diritti dei lavoratori si siano troppo estesi ed ipertrofizzati, ed abbiano comportato una riduzione della produttività.

Alla diminuzione della produttività si somma l’effetto dell’aumento dei salari nella maggior parte dei paesi (ed in special modo nei paesi periferici dell’Eurozona) che ha fatto salire considerevolmente i prezzi dei prodotti, ostacolando la capacità di esportazione di questi paesi.

Sono stati richiesti quindi una serie di interventi pubblici, che hanno spaziato dalla riduzione dei diritti sociali e del lavoro fino alla messa a punto di riforme del lavoro volte a determinare una riduzione dei salari.

Ovviamente, lo sviluppo di questi interventi pubblici ha richiesto una precisa strategia ideologica e mediatica che si è posta come obbiettivo quello di far credere alla popolazione che tali politiche (molto impopolari) fossero le uniche possibili, e che ad esse non ci fosse alternativa.

Questa strategia ha implicato il finanziamento, diretto od indiretto, di ricercatori accademici che mostrassero evidenze scientifiche che avvallassero la bontà, necessità ed inevitabilità di tali politiche. Tra questi lavori, particolare visibilità hanno trovato quelli di Alberto Alesina e Silvia Ardagna sulla necessità dell’austerità come misura di stimolo alla crescita (attraverso una recuperata fiducia dei mercati finanziari) e quelli di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff secondo i quali un aumento del debito pubblico sopra il 90% del PIL porterebbe alla recessione, trovando così una spiegazione alla crisi finanziaria attuale dell’Eurozona, dovuta ad un eccessivo debito pubblico. Questi economisti neoliberali (tutti vicini ad ambienti finanziari) sono professori di rinomate università, e godono di grandi casse di risonanza che ne hanno facilitato un certo protagonismo mediatico. I loro lavori si sono convertiti nel sapere economico convenzionale.

Qui in Spagna, dove la mancanza di diversità nei mezzi di comunicazione è notevole e nota a livello internazionale, il dominio di tale dogma è stato assoluto. In Catalogna, per esempio, la televisione pubblica catalana trasmetteva e continua a trasmettere tutt’ora un programma chiamato “Lecciones de Economía”, nel quale uno degli esponenti più radicali del dogma neoliberale, che compare ogni giorno anche sulla televisione digitale de La Vanguardia, impartisce dottrina noliberale allo stato puro. Ovviamente tali forum sono praticamente proibiti a voci critiche e fuori dal coro, con poche e rare eccezioni.

E nel resto della Spagna basta semplicemente comprovare la frequenza con la quale appaiono nei mezzi d’informazione economisti patrocinati e/ finanziati dalla FEDEA (centro ideologico del grande capitale) e vedere poi quante volte appaiono sugli stessi media economisti vicini ai sindacati, per capire come lo squilibrio sia ancora più evidente.

Il fallimento di tali politiche

Ovviamente l’enorme visibilità mediatica nei mezzi di maggior diffusione non derivava certamente dalla solidità di questi argomenti (che sono in realtà molto deboli), ma piuttosto dalla sua funzione propagandistica.

In realtà, le evidenze scientifiche facilmente accessibili mostrano come gli argomenti alla base del dogma neoliberale siano infondati ed errati. Un breve ed incompleto elenco di fatti che contraddicono tali tesi:

1. Il presidente Regan alzò, invece di abbassare, la spesa pubblica (facendo leva sul settore militare invece che su quello sociale) durante il suo mandato. Inoltre, come ha segnalato P. Krugman, è stato il presidente che più ha aumentato le tasse in tempo di pace (abbassò quelle sui redditi più alti, ma aumentò quelle della maggior parte della popolazione) [si veda Krugman ”Reagan was a Keynesian” New York Times 08.06.12].

2. Tra i paesi che stanno soffrendo di più la crisi ci sono l’Irlanda e la Spagna, che si presentavano come i migliori discepoli della scuola neoliberale. Quando la crisi è iniziata, entrambi i paesi avevano un avanzo nei conti pubblici ed un debito pubblico inferiore di quello della media dei paesi dell’Eurozona. È assurdo che si accusino questi paesi di essere precipitati nella crisi per aver speso troppo proprio quando erano i paesi con il debito pubblico pro capite più basso dell’Eurozona, e con avanzi primari.

3. Gli studi scientifici che giustificano tali politiche sono stati largamente criticati per gli errori e falsità riportate. Critiche devastanti hanno dimostrato il carattere predominantemente ideologico e propagandistico di tali studi. Il Center for Economic and Policy Research di Washington, l’Economic Policy Institute ed il Center of Political Economy della University of Massachussets (uno dei più progressisti negli USA) hanno criticato tali studi dall’inizio, critiche che adesso sono ampiamente accettate (si vedano i miei articoli “El fraude en el pensamiento económico dominante”, El Plural, 22.04.13, y “Más sobre el fraude en el pensamiento neoliberal”, Sistema, 26.04.13)

4. L’applicazione di tali politiche ha comportato una crisi tremenda, che ha peggiorato ulteriormente la situazione economica dei paesi in cui sono state applicate, e facendo registrare livelli di disoccupazione mai visti prima.

5. Il benessere e la qualità della vita delle classi popolari si sono deteriorati in misura molto allarmante. In realtà, la crisi ha soprattutto colpito le classi popolari, che sono quelle che stanno pagando più duramente gli effetti di tali politiche.

6. Queste politiche hanno creato un’enorme crisi della democrazia: poiché nessuna di queste politiche era presente nei programmi elettorali dei partiti che stanno governando, esse si stanno perseguendo senza l’avvallo di un mandato popolare. In realtà queste politiche sono tremendamente impopolari.

7.  Gli unici settori che appoggiano queste politiche sono rappresentati dal grande capitale, i redditi superiori e l’establishment finanziario ed aziendale (delle grandi aziende esportatrici) che sono gli unici settori che ne traggono beneficio. Le classi popolari (che rappresentano la maggior parte della popolazione) si oppongono.

8. Il fatto che tali politiche continuino ad essere perseguite ed applicate si deve all’enorme potere dell’establishment finanziario, aziendale, mediatico e politico che traggono beneficio dalla crisi attuale.

Tutto ciò è chiarissimo.

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